Marocco,  reportage

Sfruttamento del lavoro minorile in Marocco: cause ed effetti di un problema che è ancora troppo attuale nel Paese

Vi accompagno io in giro per la città, vi faccio io da guida. Volete mangiare? Volete erba e hashish? Ho tutto quello che vi serve”.
Alle undici di una normale mattinata infrasettimanale, Abdel decide, nonostante avessimo provato più volte a declinare l’invito, di seguirci e farci entrare nelle pelliccerie, di indicarci il cambio migliore e un posto dove mangiare del buon tajine di agnello. 12 anni, capelli scuri e lisci, occhi verdi. Quando gli chiedo della scuola, fa spallucce e tira dritto per i vicoli di Fes.
Succede la stessa cosa la sera, quando torniamo nel B&b. Kamal – 15 anni appena compiuti – alla mia domanda su quante ore lavori in reception e se frequenti una scuola, mi risponde che “lavorando per anche più di 12 ore al giorno non si riesce a frequentarne una e che comunque quanto sto imparando adesso mi servirà molto di più quando riuscirò ad aprirmi un hotel tutto mio“.

A causa dell’ancora troppo alto tasso di povertà che attanaglia migliaia di famiglie marocchine, molti minori sono indotti allo sfruttamento lavorativo o a raggiungere illegalmente l’Europa. In tal senso, sono indicativi i dati relativi ai numeri delle presenze di minori stranieri non accompagnati (msna) marocchini nei centri di accoglienza italiani, nonché quelli relativi ai loro arrivi in terra spagnola [1].
Per coloro che restano, la necessità di provvedere a contribuire al sostentamento delle famiglie unitamente alle difficoltà legate all’accesso all’istruzione, fanno sì che il passaggio al loro impiego nella manovalanza sia breve e avvenga spesso già nella primissima adolescenza. Attualmente [2], si stima che in Marocco siano circa 247.000 i minori che tra i 7 e i 17 anni lavorano, sfruttati principalmente nelle botteghe artigianali [3], nelle fattorie private disseminate ovunque nel paese e nelle case delle ricche famiglie marocchine. In particolare, quest’ultimo tipo di sfruttamento è una piaga talmente diffusa nel paese che coinvolge i bambini sin dalla tenera età dei 6 anni e fa sì che persino ragazze provenienti dai paesi limitrofi del Camerun, Congo, Nigeria e Senegal vengano fatte arrivare nel paese per tale scopo. Le “petite bonnes” raccontano di lavorare per 12 ore al giorno, dal lunedì alla domenica, per poco più di una decina di dollari al mese, aggredite fisicamente e verbalmente e costrette a non frequentare la scuola.

Un sistema di tutele deboli: l’età minima per poter lavorare, i lavori pericolosi.

Il fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile, in passato, ha particolarmente coinvolto il Marocco più di ogni altro paese del Magreb [4]. A differenza di Stati come l’Algeria, che già nel 1978 aveva fissato l’età minima per lavorare a 16 anni, in Marocco si è dovuto aspettare il 2004 affinché il nuovo Codice del Lavoro stabilisse [5] che la soglia minima per lavorare venisse portata dai 12 [6] ai 15 anni [7].
Nell’ottobre del 2018 è entrata in vigore una legge che ha limitato il lavoro domestico dei minori di età compresa tra i 16 e i 18 anni a 40 ore settimanali [8], stabilendo inoltre che non possano essere adibiti a mansioni pericolose (maneggiare prodotti chimici, lavori con l’elettricità, lavorare su impalcature etc.).
Tale regola non si applica tuttavia per chi lavora come artigiano, o nell’agricoltura, settori nei quali l’età minima legale – comunque troppo spesso non rispettata – è rimasta quella dei 15 anni e nei quali non sono attualmente previste esplicite tutele per i minorenni.
Eppure, a fronte di tale vulnus legislativo, ad oggi sono centinaia di migliaia i minori impiegati nelle concerie di pellame a Fes, come carpentieri a Casablanca, nell’edilizia a Meknès o nelle riparazioni di automobili nei sobborghi di Marrakech. A dispetto di quanto previsto dalla Convenzione ILO n. 182 in merito alle attività pericolose per i bambini – ratificata anche dal Marocco nel 2001 – la maggior parte di tali lavori sono estremamente dannosi per la loro età, poiché li costringe ad entrare in contatto con sostanze cancerogene, in ambienti insalubri e al forte rischio di infortunio. In tutto si stima [9] che il 2,3% dei bambini di età compresa tra i 7-17 anni in Marocco (quindi 162.000 minori su 7.049.000) lavori in ambienti che li espongono a rischi fisici quali pesticidi, costretti al trasporto di carichi pesanti e a ore eccessive di lavoro [10]; il 76,3% di questi minori proviene dalle aree rurali. Il 10,6% dei minori coinvolti in lavori pericolosi frequenta una scuola, l’81,4% l’ha lasciata e l’8% non l’ha mai frequentata. Oltre al problema dell’età minima per l’accesso al lavoro, soprattutto nel caso di mansioni pericolose, è rilevante il fatto che la giornata lavorativa è spesso superiore al limite orario legale arrivando anche alle 12 o 14 ore: per alcuni di loro non esistono ferie e non esiste alcun tipo di sicurezza sociale. Inoltre, come spesso avviene, la remunerazione del lavoro dei minori è fortemente più bassa di quella degli adulti, in media una sessantina di dollari al mese invece dei 261 previsti nel settore industriale come salario minimo [11].

Il problema dell’accesso all’istruzione

Generalmente, il lavoro minorile è particolarmente diffuso laddove il problema della dispersione scolastica è molto forte. Pertanto, al pari di quanto avviene in altri paesi in cui il fenomeno del lavoro minorile è particolarmente accentuato, anche in Marocco le difficoltà nell’accesso all’istruzione per i bambini – obbligatorio fino ai 15 anni – è una criticità seria e di tipo strutturale. Stando ai dati forniti dal Governo [12], nel 2018 gli esclusi dall’istruzione sono stati 7.804 [13] nella scuola primaria (0,21%) e 705.304 [14] nella scuola secondaria (19,71%) [15]. Da una parte, infatti, il paese è caratterizzato dalla bassa diffusione degli istituti scolastici sul territorio – in particolare uscendo dai centri delle grandi città – che di fatto rende molto difficile a chi vive nelle zone rurali del paese (il 44% della popolazione) di poter accedere all’istruzione.
In secondo luogo, le tasse alte che le famiglie sono costrette a pagare per iscrivere i loro bambini a scuola sono a volte incompatibili con i salari familiari. Il costo dell’istruzione in Marocco è elevato se si pensa che, a fronte di uno stipendio medio attuale mensile di 3.500/4.000 dirham (tra i 320 e i 370 euro), la spesa media per ogni figlio durante l’anno scolastico 2017-2018 è stata di 2.679 dirham (circa 244 euro) per famiglia [16]. In particolare, di 3.100 dirham per bambino nella scuola materna, di 2.508 dirham nella scuola elementare, di 2.508 dirham nell’istruzione secondaria universitaria e 3.454 dirham per bambino nella scuola secondaria qualificata.
Stando alla recente indagine del Conseil supérieur de l’Education, de la Formation et de la recherche scientifique, che ha pubblicato tali dati, quasi il 19% delle famiglie ha dichiarato di aver sottoscritto un prestito per finanziare il ritorno a scuola dei propri figli.
Infine, il certificato di nascita che le scuole chiedono ai genitori per poter iscrivere i loro figli non sempre è facilmente reperibile. Basti pensare, e il dato è sottostimato, che secondo UNICEF [17] nel 2018 il 4% dei bambini al di sotto dei 5 anni non è mai stato registrato. Le cause sono prevalentemente da ricondurre da una parte ai matrimoni non documentati con le cosiddette spose bambine, dall’altra alle nascite volutamente non dichiarate per fini lavorativi. I bambini privi di documenti si concentrano soprattutto nelle aree di Rabat-Sale-Kenitra, Fes-Meknes e Marrakech-Safi.
Così come concepito il sistema scolastico marocchino comporta che ogni anno circa 300.000 adolescenti lascino il sistema di istruzione di scuola secondaria senza ottenere un diploma [18].

Un moderato avanzamento nella tutela dei minori.

Dal 2008 il Governo sta attuando un programma (il Tayssir Conditional Cash Transfer Program) per sostenere le famiglie che non ce la fanno economicamente a pagare l’istruzione dei loro figli, con l’obiettivo di evitare quindi che li mandino a lavorare. Il programma [19], il cui fine è quello di incrementare i tassi di iscrizione e di completamento nelle scuole rurali primarie e secondarie, ha provveduto a effettuare trasferimenti diretti di denaro alle famiglie i cui figli soddisfavano i criteri di frequenza scolastica, raggiungendo circa 2 milioni di studenti nel 2018.
Il Governo marocchino ha inoltre firmato 19 accordi di partenariato con associazioni e organizzazioni per prevenire lo sfruttamento del lavoro minorile, oltre a finanziare speciali programmi sociali incentrati sulla formazione professionale dei minori che vivono per strada ad alto rischio di sfruttamento lavorativo [20].

Ancora tanta la strada da percorrere.

E’ qui che lavorano tutti i miei nipoti. Ogni giorno, quando terminano la scuola vengono ad aiutarmi qui nella pellicceria fino a sera”, ci spiega Mostafa fiero della sua attività imprenditoriale familiare.
Nonostante gli sforzi compiuti da un paese che negli ultimi anni è cresciuto notevolmente, diventando un importante attore sul piano internazionale, ci si aspetterebbe vengano adottate altre e più incisive misure. Nonostante gli sforzi del Governo, la legislazione relativa all’impiego di minori ed in particolare alla età minima per l’accesso al lavoro e alle sanzioni per chi li sfrutta, non corrisponde ancora agli standard internazionali. In particolare ci sono dei settori in cui le condizioni di lavoro sono estremamente insalubri e particolarmente nocive; la presenza di minori in questi rami è particolarmente forte ma, nonostante ciò, tali attività continuano a non essere annoverate nella lista di lavori pericolosi in cui deve essere vietato l’impiego di minori [21].
Inoltre appare esiguo il numero di ispettori del lavoro chiamati a verificare le applicazioni della normativa (297 nel 2018 a fronte di oltre 12 milioni di lavoratori complessivi nel paese!; in calo rispetto al 2017 quando gli ispettori erano 304).
Ancora, le tutele richieste dal diritto internazionale andrebbero applicate a tutti i minori, cosa che oggi continua a non avvenire per coloro che lavorano nelle imprese con meno di 5 dipendenti o nelle fattorie disseminate nel paese che sembrano sfuggire del tutto ad ogni previsione di tutela

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